Lecce non è una bomboniera di biscuit o porte bonbons di cristallo
ma un Getsemani dove più d’uno tradì la bellezza.
Se una cappella è chiusa da anni, ecco, ho
questa chiave di poesia – apro la porta laterale ed entro.
Non riconosco che i Santi materialissimi
dei muri sbreccati e delle cisterne
della polvere arsa e della Canicola:
hanno nascita e morte
aprono la loro carne a ferite
e conoscono l’angoscia. Nella minerale luce
della cappella da decenni inserrata stanno
eretti i busti dei Santi e delle Sante, sono
sale che luccica al passaggio del sole
le loro teste appoggiate sulle balaustre di marmo:
guardano quegli occhi spalancati il teatro di sale
polvere e umido che la luce gioca per i finestroni
stagnati.
Nella cappella che solo la scrittura sa aprire
entra il mondo: tutto.
Candelabri di screpolata doratura, allumàtevi!
Tabernacolo di puro Settecento, spalàncati!
Cuore d’argento trafitto dalla spada
e bruno fazzoletto macramé dell’Addolorata
giglio candido e padovano fasciato d’infocata parola
cilicio di dugentesca poesia: vi vedete
mentre vi vedo
vi vivete
mentre vi vivo.