DUCHILONI

Mi ricordo una volta pioveva, veniva giù come le funi, a tratti grandinava anche, e poi diventò anche nevischio, e poi neve davvero a turbinare, e poi cominciarono a venir giù cornicioni interi di ghiaccio, e poi si cominciò tutti stranamente a spinneggiare ancheggiando come pinguini, appunto, e c’era anche taluno più grosso che alzava il collo enorme e apriva la fauce, la, e strillava tricheco arrogante e anche un tantino fiatella, nel senso dell’alito, che l’alito di un tricheco è una faccenda che non tutti, vero, e questo cielo grigio piombo per mesi e anni, tipo la Macondo di Solitudine, e non c’erano più i mandorli in fiore, nemmeno i ciliegi o i papaveri – nemmeno i carciofi e i primi asparagi timidi. E questa faccenda durò per centinaia di migliaia di anni, milioni, forse, ma ho perso il conto, magari era ieri.
E poi alla fine ci fu qualcuno da qualche parte che suggerì di spengere tutto, tutte le spine e le chiavette, cavetti e prese scart, e miracolosamente apparvero vassoi enormi ricolmi di banane e kiwi e fragole e grossi pani neri da due chili, i duchiloni. E successe quello che era prevedibile, che si fece merenda con una mela cotta, un peperone in agrodolce, un radicchio di campo e poi forse si fece anche all’amore, ma quello non lo so perchè è strappata la pagina.

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