Il signor GFK abita ad Usta. Usta è solo l’idea di un luogo: tre case abbarbicate su una collina, abbastanza distanti l’una dall’altra da far dimenticare al signor GFK di non essere l’unico abitante. Il signor GFK non cammina. Ha perso l’uso delle gambe da quando ha cominciato a lavorare in ufficio. Adesso è in pensione e l’uso potrebbe ripristinarlo, ma non sa più come si fa o non vuole farlo. Il signor GFK ha un’amica. Lei cammina e gli scrive ogni giorno. La sua amica non può fermarsi se non per l’abluzione dei piedi e per scrivere al signor GFK. Non riesce più a fermare i piedi e le gambe da quando ha scoperto che se si ferma sta male: mal di mani, mal di testa, mal di gambe, mal di piedi, mal di schiena, mal di pancia. Camminare la fa felice da quando ha scoperto di avere un corpo al quale bisogna lasciar fare quello che sa fare. Certo in città è un gran casino, ma ormai il processo di regressione si è avviato. Regressione che come dice il signor GFK non è da intendersi come il banale tornare indietro bensì il recupero dell’appartenenza. Lei ne conviene. La scoperta dell’appartenenza le ha cambiato la vita. Da quando il suo corpo è tornato ad esercitare le sue funzioni avviando il processo di regressione, non è più disposto a sopravvivere come un disabile. L’amica del signor GFK scrive che la malattia è la conseguenza dell’essere ignari della propria appartenenza, dell’allontanamento da quello che si è. Scrive che costringere gambe, piedi a fermarsi dietro anguste scrivanie; intestino, cuore, testa ad assecondare l’immobilità di piedi e gambe, equivale a sfinirsi fino a spegnersi. È il continuo mettere distanze con ciò che è fisiologico e naturale che ammazza, il non sintonizzarsi con i bisogni primari. È stato così che si è persa, così che si è spenta. L’ha capito solo dopo essere rimasta al buio, dopo aver vissuto il vuoto agghiacciante di non riconoscersi nelle ore, nei giorni, nei luoghi, nel suo nome che risuonava estraneo. All’inizio ha pensato a qualche strana malattia. Cercava di capire i sintomi, la causa, la possibile cura. Fino a scoprire di essere lei la sua malattia. Non le è rimasto che perdonarsi, assecondare il suo corpo restituendogli il governo delle sue funzioni, affidarsi alla sua saggezza senza riserve: lui conosce la strada per regredire fino a ritornare in sé. L’amica del signor GFK quando gli scrive gli riempie il cuore anche se il signor GFK il suo cuore non lo vorrebbe più riempire e ha deciso di non muoversi, almeno non con le gambe e i piedi. Ognuno ha i propri modi. Lui si muove con l’immaginazione e di quella ne ha tanta, quasi quanti sono i luoghi che non ha visitato, ma sa raccontare alla perfezione. Quando legge a volte gli viene un po’ di nostalgia, prende il monopattino e si mette a girare attorno al fico di casa. Due giri, non di più perché poi lo acchiappano le vertigini ed è costretto a ritornare a letto.
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