In ufficio è spuntato un vecchio raccoglitore vuoto, stava lì da molti anni, è diviso in scomparti e ogni scomparto conteneva un plico, una cartella. Adesso è vuoto, credo da parecchio tempo. La cosa che colpisce sono i segni che le cartelle hanno fatto sui cartoni rigidi, per la presenza di cartelle di diversi colori che lasciavano tracce colorate dei margini; poi ci sono tracce di scrittura di chi prendeva appunti e usciva fuori dal foglio, qualche segno o fine di parola, poi numeri di telefono segnati a lato, fuori dalla cartella. Scorrendo i cartoni degli scomparti si vedono appunti veri e propri mischiati a disegni, fatti come passatempo, semplici forme geometriche o figure, verso la fine sempre più ricercati, questi disegni e schizzi, come di chi avesse molto tempo libero, fatti anche con i colori. Alla fine, incollata, una stampa, un paesaggio dell’ottocento, naturalista.
Allora ho pensato: meglio gli schizzi che questo dipinto bello e pronto!
Così ampliando, dietro a questo pensiero semplice si apre un mondo, che potrebbe essere: meglio gli schizzi, gli abbozzi, quando però in sequenza dicono di un impegno di qualcuno a fare qualcosa, anche fuori dal seminato (chi disegnava nel faldone stava togliendo tempo al lavoro) e a prescindere dal loro valore estetico, diciamo, che siano belli oppure no. Però cartone dopo cartone, questo impegno a lasciare tracce, segni, non una sequenza voluta e ragionata ma semplicemente la testimonianza di un impegno delle mani,diverse mani, a cercare di fare qualcosa. Mescolando appunti di lavoro, segni fatti per distrazione e schizzi e disegni scacciapensieri.
Un’etica dei ritagli di tempo, dei segni fatti senza volere durante una riunione o mentre si parla al telefono, di vecchi faldoni di cartelle che bisogna conservare e ogni tanto riprenderli per andare a cercare qualcosa. E alla fine restano vuoti, e pieni di tracce, tracciati insensati, abbozzi, intenzioni, minuti persi.