- Curioso, che da quando ci siamo messi seriamente a pensare alla vita, la morte ha iniziato a girarci intorno come il classico avvoltoio.
- Sospetto che sia dietro anche alle piccole incrinature, ma sarebbe inutile tentare di ricostruire una qualsiasi mappa – non darebbe alcun segno riconoscibile, non più di una grafia illeggibile.
- Uno poi li cerca, i segni, inevitabilmente, le connessioni, i rimandi a un disegno comprensibile – un meccanismo di risparmio della mente, come il sogno, come il pregiudizio.
- Eppure è stato solo anni dopo che ho capito cosa volesse dire restare tutto quel tempo seduto per terra, in bagno, a guardare scorrere l’acqua del lavandino.
- Era una scrittura quanto mai incerta, disallineata. Una mano frettolosa.
- La morte non appariva mai se non nelle forme edulcorate di altri segni del declino.
- Oggi spero che i rumori notturni siano prodotti dal domovoy che si aggira brontolando per quanto trascuriamo la casa,
- che sia sotto il suo peso che cigolano le lamelle del parquet, che siano suoi gli accenni di passi a cui sussulti ogni volta, alzando allarmata la testa dal cuscino.
- Ci precipitiamo a farci analizzare il sangue, regoliamo le diete, gli orari. Tutto va avanti.
- È da questi sfilacci che temo il formarsi del nucleo, mentre altri filamenti potrebbero andare a raggomitolarsi intorno a un istante e precipitarlo nel buio caldo e umido da cui verrà la vera, grande paura.
- Ha quindi del prodigioso riuscire a dire questa parola – vita – senza nemmeno un po’ di imbarazzo.
Immagine tratta da W. Kahle, H. Leonhardt, W. Platzer, Taschenatlas der Anatomie für Studium und Praxis, vv. 2 e 3, Stuttgart, Georg Thieme, 1979