Divembre. 4.3.
Di punto in bianco, la cinepresa smette di cicalare. E’ in questo preciso istante che, preannunciato da sordidi – talmente sordidi da non darmi neppure il tempo di contrastarli – sconvolgimenti mioclonici, sopraggiunge al galoppo l’odiato Ronzio che precede di un nonnulla l’inevitabile caduta nel centro del mai sazio, onnivoro, sconquassante Vortice immobilizzante. E da un momento all’altro l’Occhio vede fluttuare pigramente ad un palmo scarso dalla finestra, quella unica finestra che, anche se ben sbarrata, riesce a malapena a trattenere la tenebra insondabile di una Notte da incubo che altrimenti si riverserebbe clamorosamente nella stanza con chissà quali irreparabili conseguenze, un orsacchiotto di peluche d’un lucignolesco bluoltremare e con gli occhietti spenti accesi a tratti dai bagliori sinistri. Ah!, se per un solo istante riuscissi a vincermi, a vincere quella insana malia che m’incatena al Vortice … a spezzare una volta e per tutte quella garrula, debilitante immobilità che m’inchioda al letto sotto queste lenzuola insopportabilmente pesanti, soporifere, forseforse, prima che svanisca, che svanisca dalla mia mente, potrei avvicinarmi di soppiatto all’orsacchiotto, agguantarlo, stringermelo strettostretto al petto fino a soffocarlo… Avverto improvviso, improcrastinabile, un dubbio stimolo corporale. Temporeggio. A malincuore vengo fuori dalle coperte. Si gela. Seduto sulla sponda destra del letto accendo, spengo, riaccendo l’abat-jour. Ficco lestamente i piedi mezz’assiderati dentro le babbucce scozzeseggianti e, seppure angustiato e non poco dagli accondiscendenti inciampi immaginari di un buio tentacolare, pianello caparbio verso il gabinetto che in questa peculiare circostanza mi sembra lontanissimo, irraggiungibile. Indugio per qualche minutino davanti all’albulo vaso di porcellana, dopodiché, divarico a compasso le gambe tremolanti, violo la stretta informale del pantalone del pigiama, affilo le unghie sul pettignone di un folto biondolazzarone, palpeggio, spremo, punzecchio infantilmente i penduli quaglioni, quindi estraggo il piripicchio mosciomoscio agguantandolo per il balano e, fischiettando tra me e me un motivetto stagionale, mi preparo mentalmente ad una imminente, chimerica minzione… Lo sforzo, disumano, spezza nervi & reni. Ho le caldane. Sudo freddo… M’affretto verso il letto non senza aver sbirciato dentro lo specchio: un’angosciata faccia alabastrina piccinapiccina mi guarda proprio strano… Ahhh!!! Finalmente al sicuro sotto le coperte! Ma già il muscoletto cardiaco pazzeggia sui polsi, sulle caviglie, sulle tempie, ben in fondo agli orecchi: TUMP-TUMp-tump-tump… – recita una delle sue sceneggiate preferite. Di riflesso, avverto un dolore lancinante alla spalla sinistra. E, quasi simultaneamente, anche il braccio, geloso, s’irrigidisce, mentre la mano intorpidita scorazza cocciuta dal petto palpitante al fianco latitante e, da qui, ancora una volta verso il petto, dove indugia solo per un attimino, per poi svolazzare fulminea ben oltre la testa sconvolta da questi andirivieni, smaniosa di scambiare o di rubare colore & calore alle fredde, gialle sbarre metalliche della testiera del letto… Forteforte ben in fondo alle orecchie: TUMP-TUMp-TUmp-tump-tump… – e, perdipiù, sotto le palpebre chiuse a riccio ombre dubbie creano originalissimi origami di luce… Dopo notti e notti e notti di …