Divembre. 4.4.
Dopo notti e notti e notti in sterminate pianure acquitrinose, impillaccherato, giungo alla guida di una traballante carretta trainata da un asino giuda e scorreggione in una ridente cittadina. Ridente poi! Ma per cosa, se ad attendermi nella piazza principale c’è una nutrita schiera di immusoniti paesanotti locali e foresti che mi guardano in cagnesco! Immediatamente circondato – e a giudicare dalla velocità con cui viene completato l’accerchiamento, sembrerebbe che costoro stiano aspettando questo momento da sempre – mi ritrovo solo, acciocconito dalla paura, in mezzo ad una selva animosa di mani abiette che agghermigliano, affibbiano schiaffi, tirano pugni, pizzicottano … La comparsa provvidenziale di alcune ranocchiesche coppie spaiate di pennacchiuti carrabbunera a cavallo sgonfia, per qualche utile istante, l’aggressività del becerume. Ne approfitto per sgattaiolare fuori dalla folla di malintenzionati e per rifugiarmi, spero con tutto il cuore non visto, all’interno di un vecchio edificio che ostenta un’architettura ‘ntamisià’ fortemente rappresentativa: Il municipio. Attraverso di corsa un atrio al momento deserto e salgo, passando radente alle scolorite pareti, le rampe di una comoda scala. E tutte le volte che ne ho voglia, mi attardo sugli spaziosi pianerottoli da dove, guardando attraverso grandi finestre spalancate verso i quattro punti cardinali, posso spassionatamente apprezzare le spettacolarità petrigne di una innevatissima catena montuosa;- sguazzare nelle stuzzicanti melmosità bluastre di una palude che latita ben oltre il mio limitato campo visivo;- abbandonarmi alle mille accondiscendenze mammellute di alcune colline coltivate perlopiù a vitigni…- Epperò, di tanto in tanto, non disdegno di avventurarmi in punta di piedi nei corridoi che s’intersecano ad ogni piano dell’edificio, fosse solo per il piacere di sorprendere, all’interno di un’infilata di invivibili cantucci o, addirittura, all’interno di angustianti sottoscala addobbati coi gagliardetti e i santini dell’ultimissima ricorrenza paesana, torme parlottanti di pallidi impiegatucci d’ambo i sessi – brutte copie di Bartebly -, con le biro strette appena tra pollice, indice & medio, imboscati a vita dietro pile e pile di ammuffite scartoffie… C’è ne sono voluti di passi per raggiungere la stanza del primo cittadino , ‘assente’ mi suggerisce qualcuno ‘ma solo per un istantuccio’. Trascorro non so quante ore col culo supplice ‘npizzu ‘npizzu al sedile di una spigolosa sedia di vilpelle nera posizionata artatamente di sguincio davanti ad una gigantesca scrivania, un quasi illimitato ripiano di palissandro, dietro alla quale, affiancata da due spenti tricolori, sorniona, sontuosa, sproporzionata, girevole e, chissà, forse anche pensante, vigila chiusa in un riserbo imperturbabile, la poltrona del principale. Seppellisco la faccia impassibile tra le pagine orecchiutissime e piagnucolose di un settimanale da tre quattro soldi raccato nelle immediate vicinanze. C’è un silenzio irreale, smussato a tratti dagli squillistrilli dei numerosi telefoni a cui fa eco la snobbante voce cornacchiesca di una giovane già vecchia segretaria, per niente bella, per niente affascinante e con certe tozze coscione velate bene e menomale da calze fitte di ricami floreali… Stancannoiatomarcio allungo più che posso con goffa disinvoltura le gambe fin sotto alla scrivania, tossisco, sbuffo, strappo una pellicina dalle labbra, infilo entrambi gli indici nelle narici e ne cavo fuori camaleontiche caccole che scaglio con inaudita violenza contro inesistenti bersagli mobili poi afferro il cellulare agganciato alla cintura, digito febbrilmente un numero e rimango in attesa di una risposta che so non arriverà mai… Ma il tempo scorre sempre più lento-leento-leeento-leeennto-leeenntoo-leenntooo… mentre i pensieri invece si rincorrono veloci riuscendo a volte a riagguantarmi. Allora riaffiorano di continuo alcune irrisolte faccenduole quotidiane di poco conto, milleuno non-sense, tristi tropici, fiori blu, tic & tac, asti, scazzi, rogne, incomunicabili faloticherie …