Poiché Socrate è stato premiato dalla storia con la celebrità per aver introdotto in filosofia i moderni temi dell’etica, dell’estetica e dell’epistemologia, a coloro che – per lo più suoi contemporanei – s’occuparono d’altro, ci si riferisce in genere ed ingiustamente come presocratici. È difficile, risalendo a tempi così remoti, procedere altro che per frammenti, aneddoti, vaghi riferimenti di intellettuali successivi, ma pare che ciò che per primo spinse gli uomini a filosofare fu la questione dell’arché, ovvero del principio delle cose. All’epoca era in uso sbizzarrirsi proponendo idee strampalate: per uno l’origine, l’indivisibile che è ovunque e in qualsiasi cosa, che permane eternamente e muta la propria forma per far da fondamento alla realtà, era il fuoco. Per un altro l’aria, per un altro ancora la terra o qualche indefinita nozione d’indefinito. Alcuni, più comprensivi, proposero anche varie combinazioni di elementi o di questi e ipotetiche forze ancestrali che li mettessero in moto. Tradizionalmente, quest’impostazione di ricerca viene fatta risalire a Talete, personaggio a metà tra la leggenda e la realtà, ultimo dei sette sapienti e primo dei filosofi, che insistette che l’arché fosse da identificarsi con l’acqua. Suo cugino Talaltro (VI a.C.), per quanto ci è dato supporre partendo dalle fonti scarsissime, si prese gioco del parente dicendo che, se anziché sete avesse avuto fame, il principio delle cose sarebbe stato un panino. In modo simile, confutò gli altri suoi contemporanei. Secondo lui l’arché era una roccia porosa di circa venti centimetri di diametro nel cortile di casa sua. Se in Talete e i suoi discepoli l’isolare un elemento piuttosto che un altro non veniva giustificato in modo particolare, Talaltro difese la sua proposta in modo brillante: se chiunque si sente in diritto di puntare il dito su qualcosa, egli almeno lo puntava su qualcosa di ben identificabile, solido, immobile a meno di non spostarlo, difficilmente corruttibile, altrettanto insostenibile che le tesi degli avversari. L’ingegno nell’argomentare le proprie idee, unito alle sottili confutazioni e all’intuizione che cose come l’aria o il fuoco non esistessero nemmeno in sé stesse, ma solo nelle loro manifestazioni accidentali, a differenza del suo sasso, gli diedero in vita una certa fama. Com’era in uso all’epoca però, si avventurò nei più disparati campi delle scienze naturali, predicando che gli astri altro non sono che il riflesso nell’eternità della roccia che aveva in giardino, che le maree non esistono, che i corpi sono anch’essi di pietra e il sangue è un’illusione ottica. Fu astronomo inutile, medico pasticcione e naturalista superfluo poiché le sue tassonomie non descrivevano piante ed animali, ma piuttosto forme di sassi, scaglie, ghiaino. La sua scarsa fortuna di proto-scienziato lo condannò al dimenticatoio, e con lui, purtroppo, la sua raffinata filosofia.
dal Manuale di filosofia fantastica (Link Edizioni, 2022)