può essere benissimo un vaso di fiordalisi su un tavolo di vetro (stelle alpestri arrossano lo sfondo) dove si mischiano impercettibili piccolissimi frammenti di denti pezzi di mascelle ossa crani ad occultare il volto che una voragine sull’occhio a volte apre –
oppure un cappello calato sul detective che china la recluta del proprio corpo sopra i travagli darwiniani per nasconderli (ecco è già profumo azzurro) dove però la giacca zigrinata di catrame già tradisce spine, l’intacco di piccolissimi artigli o zampettine, biaccose lische di certi antichi pesci che eravamo e spine dorsali stese tra i segni di pneumatici –
si vede invece che l’aranciato del fondale di deserto (c’è stata la lavatura siderale) se l’è portato appresso nel delirio nero della sabbia