Era venerdì sera e faceva caldo. Un suono di parole scivolava dal corridoio e inondava l’uomo seduto. Dalla stanza di sopra giungeva un secco rumore di passi; tacchi femminili. Si sentiva una musichetta di note aguzze. Dopo un poco, scarpe di bambino inseguivano una palla che rimbalzava nel nulla. Faceva caldo. L’uomo seduto nel mezzo della stanza stava aspettando, circondato dal molle profumo che i gelsomini emanavano dal balcone spalancato. Respirava piano, l’uomo, con la lentezza di un plenilunio che sorge dal mare e, cieco com’era, carezzava un’arancia.
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