14 giugno, domenica
Sono appena le sette. Dalle 5,45 sono sveglio e ho gli occhi rivolti alla finestra, per un 70% occupata da un cielo celestefresco con nodi di nuvole marinare. A tratti, in effetti, sento come odore di brezza e tutt’intorno la cornice mi pare sia mare e l’isola dove mi trovo si riduca a questo reparto, ai due padiglioni di cui vedo solo l’ultimo piano con le serrande abbassate. Le rondini si moltiplicano a vista d’occhio, alcune escono proprio dalle cassette degli avvolgibili. Lì devono avere passato la notte e rischiato di svegliarsi intrappolate tra un giro di serranda e l’altro. Sullo sfondo il verde della Conca d’Oro e le montagne di Altofonte. Ma anche, la punta a riposo del vulcano Pinatubo. E giù Pampanga, la campagna di Narra, Ilocos Norte, Isabela e la casa dei genitori di Rex con suo padre che mi fa cenno. Prova con l’inglese, poi con lo spagnolo, il brav’uomo. Infine mi offre latte di cocco, perforando la scorza nella sua lingua.
Alle undici vengono a prendermi. Dai finestrini dell’ambulanza che mi riporta in città, vedo un’altra Palermo, sconosciuta e riconoscibile.
Di nuovo evaporata, come altre città al telegiornale.
La grassa tunisina mi afferra dalle ascelle per sistemarmi nella sedia a rotelle. Potessimo fare cambio, penso: io ritornare al Civico e tu salire a casa mia.