Ti sento. Sento il rumore delle tue mandibole, i denti che affondano nelle fette biscottate, lo sgranocchiare incessante, i semini di soia che fanno il giro della tua bocca e scendono giù, verso il buco del culo. Mangi, mangi in continuazione, sei vegetariano e mangi molto di più di noi onnivori, ti mancano le proteine nobili e compensi con chili e chili di roba di soia, di avena, di tofu, seitan, orzo, farro e altre diverse vittime della fotosintesi clorofilliana. Mastichi, mastichi, mastichi. Dici che la fame non ti passa mai, che non ti senti mai sazio, che hai disturbi di vario tipo legati all’alimentazione: al lavoro tocca cucinare per te cose particolari, pure semplici, ma particolari, il che significa lavoro in più per chi lavora in cucina. E io lì, per l’appunto, lavoro. Poi, magari, esci la sera, e vai a mangiare quei carboidrati – la pizza, il panino, la pasta – che al lavoro non puoi mangiare: devi osservare una dieta strettina, al lavoro. Fuori no, fuori ti ingozzi di gelati, caramelle e cotillons. Ti siedo accanto e tu guardi nel vuoto e mastichi, crunch, crunch, crunch. Intolleranza, fastidio, repressione di un istinto direi quasi violento. – Vado a fumare una sigaretta in camera. – Si sente lo stesso, il fumo. Mi intossichi. – Va bene, vado fuori. (Però la sera, spesso, chiedi un po’ di tabacco, e ti giri una sigaretta, e la fumi beato al tavolo di sala. Quindi ti danno noia le MIE sigarette, non le TUE – che poi sarebbero MIE anche quelle).
Ci vuole pazienza, al mondo.