Scalavo una montagna. In mano reggevo un grande foglio di metallo luccicante dalla forma rettangolare e i bordi taglienti che usavo come bastone. Non era d’aiuto, ingombrava, rallentava il passo e sbatteva contro le gambe producendo il suono di un gong. Dovevo raggiungere delle persone che erano andate avanti. Dovevo arrivare sulla cima del monte, dove mi sarei riunita al gruppo e avrei potuto riposare. Qualcuno mi mette in braccio una bambina. È il mio nuovo bastone, la carico sulle spalle e continuo a camminare. I muscoli delle gambe mi fanno tanto male da non poter muovere il passo seguente. Attraversando un paesucolo irto di scale e passaggi di ciottoli, una donna anziana mi invita a entrare nella sua casa che è una chiesa. Vuole mostrarmi qualcosa di prezioso, celato all’interno. Indica una parete bianca coperta di segni geometrici scuri. Sembra un messaggio in un altro alfabeto. Non capisco cosa voglia da me. Io non riesco a trovarci il senso e devo andare, ho ancora tanta strada da fare. Uscendo urto un vaso di vetro. La bambina lo afferra per non farlo cadere. Le due si scambiano delle parole che non distinguo. Mi giro, e di nuovo urto il vaso, e la bambina, che sa parlare come un adulto, di nuovo lo salva, e si scusa per me. Mi trovo ora sotto un portico, ai piedi di una gradinata e una salita ripida che conduce fuori dal paese. Le cosce sono tese e bruciano. Sto per cadere sotto il mio peso e quello della bambina. Una vecchina tutt’ossa si affaccia da un uscio e mi dice di provare a camminare con il baricentro in basso. Mi incoraggia, insegnandomi il movimento lei stessa. “Più vicino alla terra”, mi dice. È l’unico modo per andare avanti.
(da VERMIGLIA GOCCIA, MANNI editore, 2023)