Non so se il Merisi si sarebbe potuto salvare (non sono un medico), so che aveva la febbre alta e che alternava momenti di lucidità a momenti di delirio.
Navigavamo lungocosta, naturalmente, sulla rotta tra Napoli e Palo Laziale e non si separava mai da tre cilindri di cuoio che, sono certo, custodivano suoi dipinti.
Sapevo ch’era il più grande pittore del suo (e mio) tempo e ne studiavo l’ansia e la paura. La morte gli stava alle calcagna, come si suol dire, ma il Merisi sperava nella grazia papale e Roma era la sua pittura futura.
Lo sbarcammo a Palo Laziale, però dimenticò le tele e il bagaglio a bordo.
La feluca sulla quale anch’io viaggiavo, continuando la rotta per Porto Ercole, segnò il suo destino ultimo, seppi poi.