Mangiammo veramente troppo. Per cominciare ci vennero serviti certi antipastini che per forma e sapore sembravano piccole nuvole. Tonde e trasparenti, mandammo giù le nuvolette una dopo l’altra accompagnandole con freschissimo prosecco.
Seguirono deliziosi sformatini di Nonsochecosa. Avevano un aspetto pensoso, livido ed erano simili a pallidi fiori di cera. Poi ancora altri assaggini, fritturine calde calde di sapore musicale. Divorammo tutto in un fiat.
Ma il vero piatto forte doveva ancora arrivare e noi lo aspettammo solennemente. E ci godemmo l’attesa sorseggiando un vermentino fresco e fruttato che ci diede una leggera ebbrezza e ci predispose alla maestosa spanciata.
Aspettammo, finché il cameriere si presentò, preceduto da un invitante profumo di salmastro, reggendo un grande vassoio. Nel vassoio, come un panettone smisurato, oscillava, ai passi incerti dell’uomo, tutta l’Isola Ferdinandea, proprio quella che nel 1831, dopo essere comparsa all’improvviso davanti al mare di Sciacca, si inabissò pochi mesi dopo. Rimaste per così tanto tempo tra i flutti, le sue rocce vulcaniche hanno assorbito tutti i profumi e i sapori del mare, pertanto la polpa dell’Isola contiene e riassume in sé la morbida sapidità di ogni pesce o crostaceo, l’intenso gusto delle alghe, quello dolciastro delle meduse, l’amarognolo dei molluschi, il piccantino delle mangrovie; ma la vera prelibatezza consiste nel fatto che a tutto quel tripudio di sapori marini si somma a un forte retrogusto terroso, un afrore sulfureo che – misto alle fragranze del muschio, dei licheni, dei funghi e delle piante aromatiche germogliate nei mesi in cui quella terra emerse e fu esposta ai raggi solari – rende unico e indimenticabile ogni boccone.
Stappammo una nuova bottiglia, stavolta di vellutato shiraz, e ci buttammo a capofitto sull’Isola divorandola a grandi cucchiaiate. La consumazione durò per un tempo che si espandeva a spirale via via che assaporavamo tutta quella bontà. Sembrava che il piacere non finisse mai. Forse passarono giorni o mesi. E intanto, masticando lentamente, ci scolammo almeno una damigiana di cannonau denso e sanguigno. Alla fine del pasto, nella zuppiera rimasero solo sparuti sassolini e una piccola lisca.
Ma non eravamo ancora sazi, così ci facemmo portare qualche altra leccornia. Una stuzzicante edizione della Divina Commedia fu trangugiata in pochi minuti. Era di quelle con la copertina di cuoio, ma la masticammo lo stesso allegramente. Fu poi la volta di un profumatissimo abito da sposa.
Ormai satolli, per finire ci pulimmo la bocca succhiando il liquore digestivo di certe colonne corinzie di qualità davvero eccellente.