La capra che dopo avere sconfinato mi fissa, che dopo essersi allontanata di pochi metri evitando i lanci di pietre torna a voltarsi e a fissarmi, non ostenta insolenza. Ostentazione e insolenza sono pensiero e la capra pensiero non ne ha. E’ solo natura. La natura reagisce ma non capisce. A dare valore alla stupidaggine è la cultura. Che è nostra, che è umana. Per la stessa ragione la capra non è stupida. E va mangiata senza sensi di colpa, con lo stesso piacere con il quale Greci e Romani mangiavano i cani, V.cfr. Si può giustificare la ritrosia di certi cuochi ad aggiungere al brodo di carne la coda di mucca, instancabile frequentatrice di una certa zona del corpo: è una associazione mentale che prescinde dallo scuoiamento e dalla storica realtà che la coda, il muscolo più giovane e atletico, è la parte più sapida della mucca. Non si può invece giustificare la difesa d’ufficio della mucca, a meno che non sia feticcio e religione (la cultura, ancora), additandola come un essere pensante e, quindi, umano. La cultura che impregna questi tempi di decadenza e puritanesimo proibizionista, di rifiuto di accettare certe quinte di realtà come i megastudi fotografici di moda a Miami o le discoteche di spaccio a Palermo, è semplicemente sottoumano scuoiamento di materia grigia. I primi avvisatori del pericolo dei telefonini consigliavano di tenerli lontani dal cuore e dal sinistro taschino della camicia perché avrebbero potuto danneggiare, cosa? il cuore?
Ieri la Brambilla si è augurata l’estinzione dei cacciatori. Sono ormai meno di 500 mila in Italia, perloppiù anziani con problemi di vista e mani tremanti, mine vaganti calanti contro mine vegane crescenti. In guardia popolo di allevatori, per voi, solo clienti amanti della coprofilia.
Cfr.: Alexandre Dumas, Piatti proibiti e ricette segrete, Ibis 2012
Diversi popoli dell’Asia, dell’Africa e dell’America mangiano la carne di cane. I negri stessi la preferiscono a quella di altri animali e la loro più grande delizia è mangiare cane arrosto. Questo stesso gusto si ritrova presso i selvaggi del Canada, presso i Kantchadales e nelle isole dell’Oceania. Il capitano Cook fu salvato da una malattia pericolosa con del bollito di cane. Ippocrate dice che i Greci mangiavano il cane e che i Romani lo servivano sulle tavole più sontuose; Plinio assicura che i cagnolini arrosto sono eccellenti e che li si giudicava degni di essere presentati agli dei. A Roma, si mangiavano sempre dei cani arrosto nei banchetti che si davano per la consacrazione dei pontefici o durante le feste pubbliche.
Ora ecco come Porfirio, scrittore greco del III secolo, racconta l’origine dell’usanza di mangiare il cane: “Un giorno che si sacrificava un cane, una certa parte della vittima (non si dice quale) cadde per terra, il prete la raccolse per rimetterla sull’altare; ma siccome era molto calda, si bruciò. Per un movimento spontaneo e naturale in questa circostanza, mise le dita in bocca e trovò che il sugo era buono. Terminata la cerimonia mangiò la metà del cane e portò il resto a sua moglie: poi a ogni sacrificio, si deliziavano della vittima. Ben presto la voce si sparse per la città, tutti vollero assaggiarne, e in poco tempo si trovarono dei cani arrosto sulle migliori tavole. Si cominciò con il far cuocere i cani giovani, che erano naturalmente più teneri, poi i giovani non furono più sufficienti, ci si servì dei grossi.” I bollettini della recente spedizione degli Inglesi in Cina ci hanno dato dei dettagli molto curiosi sulle abitudini alimentari dei cinesi: tra gli altri, che ingrassano dei cani nelle gabbie come noi facciamo con i nostri polli; li nutrono con sostanze vegetali, poi li mangiano e li trovano eccellenti. E’, sembra, uno dei piatti più ricercati del Celeste Impero. Viene venduto in tutte le macellerie cinesi, ma è una golosità che, come le nostre tacchine tartufate, è riservata solo ai fortunati del secolo, e i comuni mortali sono obbligati a vederlo solamente.