è mezzogiorno amoremio
smetto di stirare indosso un pullover salgo in terrazza
ci sono ventate artiche nuvoloni bassi che si schiacciano
da ovest verso est tra montecuccio e il golfo sento
nell’aria oltre il profumo della salsedine la presenza
degli oggetti che non hanno corpo visibile
guardo le tegole la cupola bizantina di santamaria
della catena i terrazzini guardo meglio e trovo
un ragazzo in pantaloncini alle prese con un’antenna
televisiva e una donna inginocchiata sul davanzale
che strofina il vetro di un finestra mi abbottono
il colletto della camicia e mi metto al riparo
della torretta dell’ascensore
la casa è la connessione che fa del mio agire la forma
dell’orizzonte da raggiungere sicché ogni movimento
del mio corpo visibile ha una sua orientazione
la casa c’è perché io abbia cura di me sembra quasi
un programma religioso pesto i piedi infastidito
dalla riottosità delle parole a starmi appresso
mentre mi godo il vento qualsiasi parola mi porta
innanzitutto la presenza della casa ma se io la obbligo
a parlare di me la casa stessa ridiventa riottosa
e fa puzza