NONNOCLORO (XII)

Il soffione mi uccide. Alla base di esso c’è un budello che porta dentro, a lungo, sopra, tutt’attorno, un muricciolo in mattoni 4 x 8 x 20, alcuni, dopo l’erezione, sono rimasti ammucchiati dietro la vasca di cemento, e sono pesantissimi, la coloritura non è uniforme e questo spesso distrae dalle sedute e la perdita per nonnocloro, che le presiede, è ingente. Uno alla volta, seminascosti dal soffione, intervengono. Si segue l’ordine del granchio, che è simile al sofisma del bugiardo, cominciano i meno brillanti, seguono gli stupidi, si finisce, a destra, nell’infarto e nella raucedine, che il più delle volte è effetto del soffione medesimo quando non è stato regolato dallo stesso sordomuto adibito a funzioni di sagrestaneria, bulldog, operaio specializzato cedrigno e allievo di nonnocloro. Talvolta non è dimenticanza, ma corriveria del sindaco che non tollera associazioni inconcludenti almeno entro un raggio, in linea d’aria, di metri 2000. – c’è quindi un furore incombente, reciproco tra soffione e sordomuto, e la cosa è nota: sicché i meno brillanti, in quanto primi, posseggono già una raucedine ad alto grado di rossore, gli stupidi, per ovvi motivi, assecondano la disposizione dell’infarto, a destra resta una grande campitura di vuoto, tolta dentro assai bene, che nelle pause secerne oltre che giubilo rumori perfettamente ossidati. Col pieno controllo di tali inversioni nonnocloro, accanto alla lunga moglie del sindaco, finisce coll’annoiarsi. Comincia a cantare la canzone del bardascio che dopo venti anni andò via dal cortile con l’onore intatto.

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