Genbraio.5.
Purissima acqua piovana sgorga dalle floride muffe che stellano il soffitto, lucertola fra le grosse zolle erbose brulicanti di chiocciole contenute all’interno di una cassetta abbandonata sopra l’armadio e, da qui, ricca di terra e di bave, dopo un salto, precipita giù scrosciando sul pavimento già allagato. Sospinto dall’acqua, il letto dove poco fa mi ero disteso augurandomi un sonno senza sogni, beccheggia maldestramente. A qualche metro da me, su di un letto illuminato come un palcoscenico, una non più giovane ma ancora rugiadosa donna sperimenta pose sconce via via così complicate che, spesso, non è facile distinguere, negli intriganti grovigli di membra e trippe femminili da cui non riesco a distogliere gli occhi, una mano da un piede, una gamba da un braccio, un candido seno da un gluteo burroso, un ricciutissimo ciuffetto di peli ascellari dal folto flabello di peli pubici… e nello stesso tempo fa girare febbrilmente la manovella d’uno strano utensile, qualcosa a metà tra un passaverdure e un macinino d’altri tempi, fissato con dei grossi bulloni blu alla rete del letto. A cosa possa servirle quest’aggeggio, per quanto mi scervelli, non riesco a capirlo. Tanto più che le oscure spiegazioni rilasciate a singhiozzi dalla bella tardona, più e più volte interrogata a riguardo, invece d’illuminarmi non fanno altro che confondermi ulteriormente… Ad un certo punto la donna interrompe di botto le sue esibizioni. Si strappa a malincuore dalla manovella e, sporgendosi quanto più può oltre la sponda del letto, allunga le mani unite a coppa verso l’acqua, servendosene all’istante per saziare una sete che, a giudicare dalle frequenti lappate, sembrerebbe inestinguibile. Placata l’arsura, si riappropria della manovella e certo non tarda a rimettersi all’opera ma, al primo scarso giro, questa con un fracasso infernale, s’inceppa…