Genbraio. 5.2.
Cocciuta quanto me, l’ombra, intanto che si allunga a dismisura sul marciapiede, cerca di schiodarsi a furia di strattoni sempre più energici da quel pesante fardello che per lei è il corpo… e, agendo da più punti contemporaneamente, lo trascina con sé… Epperò, qualcosa frena la mia fretta d’arrivare in fondo al viale… Forse l’aria… sì, dev’essere quest’aria a momenti spessa e vischiosa come melassa… Ciononostante, guadagno terreno… così almeno pare… a dire il vero ànfano, visto che man mano che procedo la meta bramata s’allontana… e non per un’illusione ottica! Come se non bastasse, ho l’impressione che Qualcuno, appostato dietro la finestra di uno di quei lugubri abbaini che, alti sopra le chiome verbose degli ippocastani dominano la via, mi stia spiando. Eppure, nemmeno un occhio brilla al di là dei vetri bui… tutto tace… Là dentro, mi dico, si dorme un sonno secolare…
Foglie di un bel giallo fosforescente mi piovono di continuo addosso. Coi loro margini seghettati in molte pettinano i capelli. Alcune sfuggono alle mani che vorrebbero afferrarle. Altre ancora pesano sulle spalle. Tantissime, invece, sfarfallano impazienti attorno. E quando toccano terra si sbriciolano cricchiando sotto le suole delle scarpe…