DAI BALCONI DELLA MIA CITTA’

Ero affacciato al balcone. Rimasto in città in un giorno di festa. Si sentivano gli uccelli piuttosto che le macchine. Non mi capita spesso di rimanere in città di domenica. Né di sentire gli uccelli. E mi viene voglia di conoscere i loro nomi, per potere informare chi mi viene a trovare, per fare bella figura. Nessuno era venuto a trovarmi e questo non mi faceva stare meglio. Ho un orologio da parete che suona ad ogni ora con un canto diverso e ho imparato se le dieci sono uno scricciolo o una cinciarella. Lo volevo dire a qualcuno, sarebbe bastato dirlo a me stesso che avevo riconosciuto quei canti. I miei occhi vagavano tra le case di fronte per trovarne conferma. In una di queste case l’ unico uccello che riuscii a mettere a fuoco fu, invece, una donna che stendeva biancheria dal suo balcone e cantava come una colomba. In effetti c’ era una colomba, appollaiata su un filo della luce, in perfetta traiettoria visiva con una bionda in canotta e ginz bianchi. Roba da guardoni, da innamorarsi. Ma non avevo gli occhiali. Li avrei presi se non avessi saputo che erano nella stanza dove mia moglie stava riposando e allora mi avrebbe chiesto, cosa sei venuto a fare, perché mi hai svegliata e, intanto, quello sconosciuto uccello se ne sarebbe andato, avrei perso il tempo e, insomma, stavo affacciato al balcone puntandolo e sperando di essere puntato. Poi ho visto chiudersi le persiane e ho sospettato di essere stato individuato e che tra me e lei avesse deciso di erigere un muro. Qui a Palermo le donne sono brave soltanto a erigere muri, mi sono detto arrabbiato. Non fissano, sfrontate e libere come le donne di Catania o di Siracusa, quando incrociano un esemplare maschio. Ma non avevo considerato che anche a lei, alla mia dirimpettaia, erano venuti a mancare gli occhiali.

Pubblicato su “la Repubblica – edizione di Palermo”, il 20.04.2004

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