La prima volta di solito è a scuola, mentre qualcuno è interrogato o la professoressa blatera senza fine. Apri il diario all’ultima pagina e dai forma al malessere che ti trascini da quando hai cominciato a capire o trasformi in parole l’impazienza per il viaggio della settimana prossima oppure annoti che il suo volto, sempre chiuso o distratto, stamattina ha mostrato di accorgersi di te. E scrivi perché a qualcuno lo devi dire, anzi, scrivi perché lo devi dire e basta.
Cominci così, senza rendertene conto, come si prende il vizio di fumare, di masturbarsi, di rimuginare le cose per cui non c’è spiegazione o soluzione. Per questo vizio però, dopo, non senti un fondo di rimorso, non hai bisogno di ripeterti che tanto puoi smettere quando vuoi. Dopo giorni, settimane, distrattamente apri l’agenda, salti frasi tra virgolette, cazzate che ti hanno fatto ridere senza ritegno, sfogli pagine bianche, strofe di una canzone, schizzi, espressioni in codice che un altro solo potrebbe decifrare, ancora bianco, parole con una grafia che non è la tua, scarabocchi. Alla fine impugni la penna e scrivi, a scatti, con pause brevi, in silenzio; anche la musica che ami in quel momento ti disturberebbe, con i neuroni impegnati a stare dietro le fibrillazioni che si inseguono nella scatola cranica.
Domenico Conoscenti, Quando mi apparve amore, Mesogea, 2016