Mi sveglio dolorante, sono stravaccato sul sedile del passeggero della Fiorino 127: apro a fatica gli occhi e accanto a me vedo Marco che si sta facendo una pera mentre guida – tiene il laccio con i denti, e il volante con il ginocchio destro. Chiedo se c’è nulla per i poveri, alle volte: avanzasse qualcosa. Lui mugola, con i denti serrati: un momentino e si guarda. Pompa lo stantuffo, chiude un attimo gli occhi – faccio: sicuri? Intendo: sicuri che ce la fai a guidare?- Phfscì, nema problema, mi risponde. La macchina, el coche, viaggia tranquilla, sui novanta, sono le sei del mattino e sull’ autostrada c’è pochissimo traffico: qualche TIR, qualche Camper. E’ pur sempre Agosto, e siamo ancora in Andalusia.
Fatto lui tocca a me, preparo una spada, apparecchio: verso nel cucchiaio il corrispondente di un quartino, zero venticinque, una bottarella discreta. Dietro, Cristina dorme beata, russa anche, ogni tanto chiacchiera nel sonno, a volte urla pure. Trovo la vena subito, mi faccio, e d’un colpo spariscono i dolori, la melanconia, la tristezza, il malumore – anche il sole già bollente del mattino presto diventa un lieve calore alla pelle, una carezza dolce e soffice, i pensieri si fanno felici, sgranati in un torpore quasi d’amore e baci puliti. Il mondo ci sorride beato, e noi a lui. Ancora qualche ora di viaggio e siamo ad Algeciras: ci andremo perché ci è piaciuto il nome, e poi Jerez, perché è quello il toponimo che ci ha fatto partire, un Gran Premio del cazzo visto in un bar di merda di Pontedera.
– Ci andiamo?
– Andiamovi.
E via andare.