Tanti anni fa, gli abitanti del quartiere di Carlo
(soprattutto i meno abbienti) seguivano diete a base di
pane, uova, ricotta, patate, legumi, verdure.
Tanti anni fa, per gli abitanti del quartiere di Luigi
la carne era un lusso per pochi benestanti.
Per sopperire alla carenza di proteine animali
gli abitanti del quartiere di Luca, ai tempi delle guerre
o delle carestie, per superare gli inverni algidi e duri,
si trastullavano andando a caccia di gatti,
quelli più satolli, quelli più pasciuti.
In barba alla legge penale, i gatti venivano catturati
per mezzo di corde, forconi o grazie all’uso delle mani.
Il nonno di Luigi era un abile cacciatore di gatti.
Li metteva in un sacco di juta, quelli che si usavano
per contenere patate, olive, sabbia o legumi.
Li scuoiava. Li eviscerava. Poi venivano puliti e disossati.
Si tramanda che, specialmente se cotti sulla brace,
ma anche in umido nelle pentole, avessero
un sapore delizioso (tipo pollo o coniglio).
Né i documenti scritti, né la tradizione orale
riportano testimonianze di cani ammazzati
per sconfiggere la fame. Tale rispetto
potrebbe risalire alla buona reputazione
di cui godono da sempre presso le varie culture.
Grazie alle sue proprietà, il cane è un simbolo
di fedeltà, amicizia, attaccamento, protezione.
Se associato al guinzaglio è un simbolo di prigionia.
Grazie alla vista acuta, il gatto guida i defunti
attraverso il buio ultraterreno. Se associato a Giuda,
è un simbolo d’inganno. Ai piedi di una coppia
di sposi, allude al pericolo di adulterio.
Nell’Annunciazione di Recanati del Lotto
prefigura la Nascita futura, spaventato,
alle spalle della figura femminile.