Benjamin Castor

Benjamin Castor (1881 – 1973) fu un logico e matematico inglese che si occupò della questione dei fondamenti della matematica. Bidello ad Oxford, udì senza potervi prender parte le discussioni di Russel, Whitehead, Wittgenstein e altri e non fu protagonista dei dibattiti della sua epoca. Accanito divoratore delle opere di Frege e Peano, ebbe anche spesso orribili mal di pancia. Secondo Castor, inguaribile scientista, la natura era un’entità assolutamente meccanica e perfettamente descritta dalla fisica, l’uomo una macchina idraulica priva di anima evolutasi dalle scimmie, macchine idrauliche a loro volta. In un quadro del genere, in cui tutto può essere spiegato per mezzo di formule e leggi indiscutibili e necessarie, risulta chiaro come la questione dei fondamenti della matematica sia preminente. Se infatti ogni cosa può essere riportata, relativamente alla sua essenza e al suo funzionamento, a procedimenti matematici, tali procedimenti devono poter poggiare su basi solidissime. Pensatore particolarmente originale e stravagante, anziché tentare con i suoi contemporanei di riportare la complessità dell’edificio matematico all’aritmetica, volle che poggiasse sulla geometria. I procedimenti che applicò per portare ogni campo dello scibile algebrico e tutti i suoi assiomi alle tre forme tridimensionali di cubo, piramide triangolare e sfera è troppo complesso per essere riassunto in questa sede, ma me la sento di garantirne la validità. I solidi vengono poi semplificati e riportati ai loro corrispettivi bidimensionali, ovvero a quadrato, triangolo e cerchio. Qui si aprono tre possibilità e tre relativi gineprai di problemi: 1) fare un’ulteriore semplificazione dimensionale e ritrovarsi con i numeri 2 (dal 4), 3 e 1 – ma questo vorrebbe dire ritornare all’aritmetica e alle proposte fallimentari dei logicisti; 2) supporre che queste tre forme semplici derivino dalla pura intuizione astratta – ma questo vorrebbe dire riconoscere l’esistenza di entità metafisiche in un mondo popolato da macchine idrauliche; 3) ammettere che le figure geometriche siano convenzioni sociali – ma ancora una volta la società è un postulato metafisico e non scientifico per come lo intende Castor. Dopo aver combattuto per anni contro un enigma apparentemente insolubile, un’intuizione lo salvò dalla follia. Ritagliò un quadrato, un triangolo e un cerchio da un foglio di carta; prese questi suoi archetipi a martellate finché si fu convinto della loro bidimensionalità; costruì una solida piantana di cemento e pose sopra di essa le tre figure. Dopo aver installato una teca di vetro che le proteggesse dai colpi d’aria, si ritenne soddisfatto. Felice di esser riuscito lì dove tutti gli altri fallivano, passò il resto della vita seduto in cantina a contemplare l’opera che aveva assorbito ogni sua energia. In essa riteneva di veder dispiegarsi – a patto di applicare sufficiente astrazione, compito ridicolmente facile per un matematico – l’intera legislazione della natura. Non avendo scritto nulla e lasciato niente più che qualche ritaglio di carta su di un cubo di cemento, i circoli matematici continuano ad ignorare la sua rivoluzione copernicana. Alcuni semiologi tuttavia, con la loro tipica sensibilità umanistica e fuori posto, hanno voluto riconoscere in Benjamin Castor un raffinato artista concettuale.

 

dal Manuale di filosofia fantastica (Link, 2022)

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