Il Nord, la pianura sconfinata, la tua prima destinazione. Eri un ragazzo ma aspettavi già da dieci anni quel momento. Lasciasti il tuo Monastero dall’altra parte del mondo. Era l’ora della Questua, i tuoi compagni ti salutarono. Tua madre ti fece sapere che ti amava, ma non venne a chiederti come stavi.
Dopo pochi mesi, eccoti di nuovo trasferito. Com’era tutto nuovo e da scoprire! I ruderi a forma di cono, all’imbocco della strada bianca per il Monastero. A nessuno chiedesti cos’erano prima di essere un mucchio di sassi e curiosità per i passanti. Eppure quante volte avresti voluto, incontrando una donna con la busta della spesa. Adesso, perché dovresti? Il tempo di scoprire sembra passato.
Eppure sei ancora lì che cammini. Alzare il ginocchio, muovere in avanti, abbassare, il tallone tocca terra, tutto il piede per terra… Intanto l’altra gamba si muove senza fretta, non badando al dolore e al piacere.
Le nuvole che ti accompagnano, quante volte l’hai pensato, sono come te: uno sbuffo d’acqua e vapore senza niente altro che le tenga. Tante volte l’hai pensato, che adesso viene da sé e quando alzi lo sguardo lo lasci lì solo per abitudine. Finché un gradino o una buca dell’asfalto non ti ricordano lo scopo del tuo cammino.
Uomo che sei! Cosa ti spinge ad andare per queste strade, senza nemmeno un parente da evitare o un albero, su cui ricordare appoggiato il gomito del compagno stanco, dopo una corsa di tanti anni fa.
Cosa ti spinge è il rituale quotidiano, è una promessa irrinunciabile, come se non ci fosse niente oltre la Via. Tu credi che non ci sia niente o meglio, che il resto, tutto quanto il resto, sia in effetti già qui.