da I GIORNI QUANTI (46)

DISPERSO. La prima volta che sono stato in America, New York, ci hanno alloggiato, mia moglie ed io, al Bazar Hotel. In camera, la prima cosa che ho tentato di sistemare sono stati gli orologi. Ne avevamo tre, sveglia compresa. Quando però ho tirato fuori l’aggeggio meccanico che mi avrebbe consentito di adeguare l’ora del meridiano di Greenwich a quello di N.Y. ho scoperto che tutti e tre gli orologi segnavano un orario differente, completamente differente l’uno dall’altro. Non li avevamo al cesio. Né mia moglie né io avremmo saputo parlare di femtosecondi anche se i nostri occhi, quando si guardano in certe ore della notte, cioè nel buoi più assoluto, lampeggiano miliardesimi di miliardesimi più veloci di un femtosecondo. Allora, con quello stesso aggeggio ho tentato di capire, seguendo il grafico, dove in realtà ognuno dei miei tre  orologi si trovasse. La sveglia si trovava ancora dalle parti di casa, quello di mia moglie ci aveva superato durante il volo e se non era già a Los Angeles ci stava ormai arrivando, il mio, per quanto mi riguarda, poteva anche trovarsi in Kazakistan, disperso. Noi stessi, come i nostri orologi, avevamo completamente perso cognizione del tempo. Quando siamo usciti per la prima volta il maitre dell’Hotel ci ha gentilmente pregato di indossare i camici con i bottoni satellitari dell’Hotel: così se ci fossimo persi, ci ha spiegato, loro avrebbero potuto ritrovarci. E, nello stesso tempo, grazie al simbolo e al colore dei camici, facciamo pubblicità all’Hotel, ho spiegato a mia moglie. In strada abbiamo incrociato molti ospiti di alberghi con i grembiuli e i bottoni stemmati. Per tutto il tempo indefinito della nostra passeggiata non abbiamo fatto altro che tentare di capire a quali altri alberghi appartenessero i camici che incrociavamo o superavamo. Come souvenir, rientrando, mia moglie ha comprato un gremboiule satellitare di un circolo culturale di Twain.

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