la definizione che il colonizzato da di sè. abbandonato a se stesso. – senza qualcuno che venga e lo osservi mentre si sta dando da fare. – privato di vanità. costretto a lavarsi da se le calze, le mutande. – senza telefono a portata di mano. con le serrande che non chiudono bene. circuito da spifferi silenziosi e velenosi. privato di sanità. inutilmente privato. – la definizione che attraversa, non vista, la strada, sale i gradini, striscia sotto la porta, entra nella casa, comincia a lievitare, si spande. raggiunge il colonizzato in cucina, raggiunge l’aroma del caffé bollente, precipita condensandosi, traversando papille, metabolizzando il concetto di ‘cafè-society’, nella sinapse che già sta li, divaricata, ad attenderla.
il colonizzato contempla le colonie. è distaccato, solenne. la mattinata di sole semina pulviscolo sul dorso delle mani che stanno lavando la tazza. – la vista del colonizzato procede lenta, regale, nulla interferisce. polvere e polveriera. ma non se ne fa nulla. nessuna descrizione. nessuna definizione. è purificata retorica. cammina senza scuoterla sulla foglia dell’albero. si condensa. precipita senza mutarne anatomia e funzioni, nella foglia, si ricava l’albero. copre, senza capitalizzarle, le distanze che hanno condotto all’albero. enormi.
il colonizzato è privato di stanchezza. l’intera progenie è già tutta data. si accende una sigaretta. finisce di vestirsi. s’affaccia un attimo al balcone. esamina piazza massimo. accetta ogni traffico. entra chiude. va alla porta. esce. scende i gradini. – arriva puntuale. – mi firma. – non posso più seguirli, lui e la sua definizione.
– uomo in piazza duomo.
– scippo con modella.
– il fotoreporter, sfogliando l’inventario, ride.