Ciao, dice sorridendomi mentre cadono madonnine dal cielo, statuine d’avorio con le labbra di fragola e la veste turchina. Vengono giù planando sulle nostre mani in attesa. Poi terra che spurga dalla bocca del vulcano corrente di risacca pesci che volano senza ali ali che volano senza angeli denti che parlano senza bocche siamo lì e siamo qui rotoliamo giù dalle colline di pietra pomice ci ritroviamo seduti sul divano rosso abbandonato sull’asfalto. Lo guardo in cerca di un cenno che mi dica che è tutto vero, come se volessi ancora trovare un senso. Se chiudi gli occhi e cominci a contare ogni cosa ritorna al suo posto. Lo faccio. Quando li riapro è ancora davanti a me, sono in te mi dice, sono quello di sempre e questa è casa tua, nulla è cambiato. Rimaniamo seduti a guardare dalla finestra il palazzo di fronte. I vetri così trasparenti da essere invisibili. La bambina ci saluta dal balcone. Mi arriva il suo odore di eccitazione: ho sette anni e la testa piena di nuvole, lo sguardo puntato di fronte e il cuore che scalpita per uscire dal petto. Mi appoggia la testa sulla spalla e dice, non è questo che volevi? Non so cosa rispondere. Non so più da che parte stare. Voglio continuare a viaggiare da una parte all’altra, un po’ qui, un po’ là, senza differenza. Magari altrove. Perché c’è sempre un altrove. Anche quando credo di essere arrivata alla fine della corsa, del cielo, della speranza, della vita, della strada. Basta chiudere gli occhi e cominciare a contare aspettando che ogni cosa torni al suo posto. Pronta a lasciarmi andare e tornare. Come le navi. Perché si sa, le navi vanno e tornano sempre.
DALLA FINESTRA
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