ELEGIA DEL LIEVITO-MADRE

Lecce non è un’ombra dell’inutile

ma costanza degli addii e labirinto

di segretissime terrazze.

 

Speciali, al Sud, le terrazze strette o vaste

in cima alla mattinata, poi alla notte:

la luce canta tenendosi le mani in grembo

e la terza mano ad accarezzare la mente

così per libertà e gioia d’essere viva –

 

speciali le terrazze con lenzuola stese ad asciugare

 

e vaste craste di basilico –

 

se allungo le dita tocco il campanile dello Zímbalo

se tocco il campanile dello Zímbalo s’inarca

la scrittura e Lecce lievito-madre odora

di vastità.

 

Quando accendevo la radio

vedevo il mare piegarsi come un lenzuolo da riporre

nel cassetto: ma quell’increspato verde era anche

il bianco della calce dato alle corti e l’oro del tufo

delle Chiese matrici

perché

l’acqua del mare-sale è nel Salento matrice

e tuorlo e γένος e grafema.

 

Ho bisogno di un quaderno di poesia per

imparare il pensare e il dire

e affidarmi a questo ventoscrittura

 

–  –  –  una cisterna a lato dell’andito, un ballatoio di servizio,

un budello di gradini conducono

all’oltre:

 

varcano.

 

 

(DA LECCE NON È – NOVE ELEGIE)

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