il trenino fatzupriestu delle sei e quaranta sovraccarico costeggia per tre quarti d’ora l’oceano tranquillo della mattinata poi con una stretta curva a destra si tuffa nella boscaglia – mezz’ora dopo sosta alla stazione di unchiau che è un capanno con pensilina di lamiera illuminato dal primo sole della giornata – e qui tre quarti dei suoi pendolari sveltamente scendono si diramano e scompaiono per viottoli e straducole che formano un labirinto all’ombra di grandi alberi di tofé punteggiata da piccoli recinti tondeggianti che indicano la presenza delle fattorie sotterranee di produzione dell’acca- spirìta
exiria in camicetta ginz flax da tennis e borsone di pezza a tracolla scende dieci minuti più tardi alla stazione successiva che non ha nome – monta sul calesse di vannino che stava li ad aspettarla con la zotta nella mano destra – ciao ciao e via verso i tornanti asfaltati di fresco che salgono ripidi la montagna di guendalahore fittamente coperta da una vegetazione nerastra – e intanto finisce di spazzolarsi i capelli corti biondi
vannino senza guardarla dice
– fai puzza
– lo so è la puzza dei tuoi compaesani non ci posso fare niente quindi dovresti piantarla
– domanimattina mettiti un impermeabilino