GINO NORMALE

Io volevo fare il tordo morto. Lo spigolo di calcestruzzo. L’acqua che spruzza quando ci passa sopra un’automobile. La pigna abbandonata. La foglia di eucalipto sminuzzata. E forse – solo forse – persino il tabacco pressato in una pipa. Ma mai e poi mai avrei voluto essere quello che sono: un cacciavite americano. Purtuttavia, rassegnato, ho lasciato che le cose seguissero un certo loro corso naturale convinto come sono che tutto tende a un ordine stabilito. Così, ogni mattina, io e la mia famigliola di cacciaviti ci avviavamo al lavoro, che consiste come saprete in piccole riparazioni ordinarie: il soffione di una doccia che si è allentato, la placchetta di un interruttore che va cambiata, l’antina di una cucina che va sistemata. Amen.  Poche emozioni insomma, vita grama. Non fosse che una sera una mano mi prende di sopravvento e mi scaglia con forza nella gola di una  signora. Non conosco i particolari, il perché e il percome voglio dire, ma ho sempre davanti agli occhi quella scena che mi cambiò la vita: full immersion nella carne viva, bella calda calda e fiottante, venti volte avanti e indietro fino all’impugnatura. Mai fatto prima. Altro che il gelo innaturale di una vite. Avreste dovuto vedere lei come rantolava, e il sangue che spruzzava beato dalle mie quattro scanalature.

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