I MANCANTE

Chi ha studiato la mia anatomia sa bene che io parlo le ventitré  lingue d’oriente, che vedo fino a otto metri e cinquanta da fermo e che mi nutro esclusivamente di alghe lacustri. E non commetterebbe mai, perciò, l’errore di compiacermi, né tantomeno di contrariarmi. Anche perché non avrebbe senso. Sa anche che non sono un animale acquatico, nemmeno d’aria o di terra; che il mio giorno preferito è il martedì e la carta fortunata il fante di bastoni. Che ciò comporta più che in altri casi l’obbligo di avere mano ferma: un’eventuale errata resezione, infatti, provocherebbe fuoriuscita di polistirolo e di un liquido greggio altamente tossico con tutto quanto ne conseguirebbe. E’ dunque improbabile, ovverossia impossibile, che il testimone dell’accusa affermi di avermi visto impugnare un’arma: io vivo sotto le piastrelle, nei coperchi di latta, nei sifoni del lavandino o dentro i portamonete ed è in effetti ipotizzabile che possa essermi trovato tra un ciuffo di capelli e una monetina da 10. Ma non ho mani, eccellenza, non ho braccia, niente che mi permetta l’atto prensile. Niente che mi consenta anche soltanto di fare un biglietto e salire  – come vorrei in questo momento – su un qualunque, possibile ultmo treno.

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