IL CINQUE MAGGIO

C’era quello.
Siccome che il respiro gli mancava
C’era da credere che fosse morto
Anche perché aveva la faccia strana
Tipica del morto.

Così tutti giù a piangere
Insieme a un certo Nunzio
Che era muto e intanto pensava
“Quello era un figo
Quello era uno che quando passava lui
Alzava la polvere coi piedi
E t’ammazzava.
Una volta folgorando una sogliola
M’aveva guardato di nascosto e zitto
Quando a un bel momento era caduto assiduo
Poi s’era rialzato e addormentato
Con la gente che gli gridava addosso.
Lui però aveva lasciato correre.”

Odiava le vergini rachitiche
E i codardi maleducati
Si metteva dritto e piangeva
Non salutando il sole al passaggio.
E cantava canzoni alle urne
Per distrarsi forse un po’.

Dalla neve al deserto
Dal bambino all’acqua sporca
Grazie al fulmine sicuro
In un baleno si spostava sulla terra
Più le isole comprese.

C’era davvero anche Gloria?
Chiniamo la fronte
Sul suo posteriore
Che le offrì un mestiere
Con lo stampo di una grande orma.

A ogni modo i porcellini trepidavano
Sulla gioia dei disegni
E avevano un’ansia amena
Che picchiava loro in petto.
E poi eccolo che arrivava
Con un regalo in pugno
Pagato una follia.

Almeno non si fece mancare niente
Il posteriore di Gloria
Cresciuto al buio dopo il periglio
I picnic e i girotondi
Il college e l’uva passa.
Giusto due volte si era impolverato
Giusto due volte aveva servito messa.

Di punto in bianco un giorno gridò
“Duecento anni uno addosso all’altro coi coltelli
Vi guardo messi a quattro zampe
Come foste troie.”
Dopo si morse la lingua e con un arbitro cornuto
Organizzò un festino.
E seminò
E i giorni noiosi li mise in prigione
Con l’odio di un creatore invidioso
E l’amore pietoso di una betulla.

Come sulla testa del surfista
L’onda diventa salamoia e ingrassa
La sua (di onda, ndr.) era alta peggio di un palazzo
E strisciava invano la VISA
Tra le memorie scese.

Oh, quante volte ai ragazzi del domani
Tentò di raccontare le sue imprese
Insinuando la mano lenta
Sulle pagine zozze!
Oh, quante volte capì
L’onanismo del dolce annoiarsi
Che saetta tette-culi-fighe
Nella villeggiatura angosciante dei souvenir!
E pensava e ripensava al monopoli
Ai cavalli pazzi e alle pernacchie
Cui obbediva famoso.

Ahi! Forse fu colpa di un anello di fumo
Se cadde nello strazio e pianse.
Per fortuna una mano giunse dal cielo
E con l’aspirapolvere lo consolò
Conducendolo per ridenti campagne speranzose
Fino al premio eterno che ogni uomo anela
Ovvero
La famosa Gloria col posteriore
Cresciuto al buio dopo il periglio.

Bella lì!
Fa bene la figa abituata ai trofei!
Scrivi ancora due righe sgargianti
Che al limite ci scappa un chinotto al Golgota
Che quello giammai si prostrò.

Tu che butti la cenere in terra
Diventa dislessico.
Il Dio che spacca il femore e ridacchia
Che sbuffa sulla sabbia e la accarezza
Accanto a lui si posò.

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