“Il gobbo di Palermo” di Francesco Gambaro

Bè, non sono gobbo per questo mi è piaciuto fare il gobbo, incrinare le spalle spingere la testa sulla nuca sino a diventare per davvero gobbo. Non vedere chi incrocio, temendo solo un altro gobbo che, come me, fissa il cielo ad altezza d’uomo. Anche non zoppico ma, facendo lo zoppo sin da bambino, ho imparato il piacere di zoppicare, e bene. Me lo ha insegnato Giovanni il portiere, zoppo per davvero. Ci sono riuscito, in segreto esercitandomi nella mia stanzina, il rumore sinistro era la parte forte, non ero più un bambino stereo ma mono, il volume dei passi pendeva solo da un lato, zoppicava anche lui, quando i miei, sta per genitori, mi chiamavano all’ora del pranzo, a tavola arrivavo zoppicando. La strascicavo così bene la gamba destra che sono diventato zoppo per davvero. Benissimo, mi dico, e ora voglio diventare cieco. Chiudo un occhio, non mi viene così facile tenerlo sempre chiuso, allora rubo la ventosa di mio fratello che così gli curavano lo strabismo e i miei, intesi genitori, gliene comprarono un’altra. La tengo giornate intere, non la scollo dall’occhio nemmeno la notte. Quando strappai la ventosa se ne venne tutto l’occhio, un guercio per davvero. Oggi è più o meno vero se mi dite che sono uno di voi, solo un po’ goffo. Purtroppo non abbastanza vero, sono gobbo guercio zoppo, goffo per davvero e mi è venuta la passione di diventare sordo e muto. Seguo i corsi regolari per audiolesi, dove mi ha iscritto mia figlia che lì insegna e muovo le mani velocemente come fa lei. Ogni tanto perdo l’equilibrio e cado. Quando cado preferirei restare caduto. Da quando i miei, detti genitori, mi fecero vedere il sacrario di Redipuglia, vorrei diventarci per davvero un caduto.

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