Dicono che un uomo positivo non pensa mai alla morte. Io, che non sono positivo, non penso mai alla morte, in particolare alla mia morte. Non ho fatto nulla per fortuna o per necessità e se, adesso, sono questo non saprei a cosa attribuirlo; o meglio, sì: alla distrazione causata da un pomeriggio filtrato tra la serranda di casa natale alle 15 e 25 del 24 giugno 1964, al fumo ammazzamorbo di un incendio di quercioli e sugheri muffiti il 27 agosto del 2014, all’espianto di un organo, che gli incolti nei secoli dei secoli ostinavano (ostentavano?) anima, il novembre unicum del 2453, punctum della mia dipartita. Nemmeno avessi la possibilità di saperlo saprei. Né potrei alla luce dell’esperienza cumulata, e senza errori. Gli errori chiamano il perdono e chi adesca mi fa orrore. L’errore fiacca, ammolla muscoli e amigdala. Anche quella, apparentemente guizzante pre juventude, che mi ha condotto dove sto-no. Non è la forza che è mancata. Sono venuti meno i traguardi. Arbitri e magistrati, sorretti da insindacabile scorrettezza, li hanno deviati con astuta prossemica. Donne-pistola fornarine si sono messe a mezzo a seno nudo, rimanendo impallinate da promesse dubbie. Infine, una fissa oblativa mi ha impedito di continuare, di pensare la strada non diversamente da un tapis roulant. Non mi sono messo paura: la paura c’è se manca di oggetto. Invece io l’oggetto l’avevo, l’amore non oblativo per una bambina-mammina che mi faceva la-posta-ogni-mattina. Defectum diligentibus. Oltre il mio raggio termico che non l’avrebbe stupefatta, fece la parte del leone un circense urlaccio da guerriero che disdegna e in sé accoglie amore. Una epopea accadeva dentro la mia testa. Da quell’amore incluso nella guerra nacque il desiderio, che dura tuttora, di essere sospirato e messo all’angolo dal Nano Bisonte. Ma non morto, ferito. L’agonia di un morto ferito rappresentata da un conclave di morituri dipinto da un Leonardo di strada. Un minestrone di occasioni pretese dai miei numerosi inconsci non classificati. Rifiutato all’amicizia quando non venivo cercato, oggi che lo vengo spudoratamente, la rifiuto. Come un ferito appena appena morto mi allontano da chi vuole starmi vicino, sparando tosse per alimentare il distacco e diradare il branco di pretendenti che mi vuole ancora in vita. Il loro distacco dalla mia, naturalmente, precede una giornata di alta pressione proveniente dalla Spagna, con inseminazione caudata di sole di pancia e insubordinata nuvolaglia.
IO SONO L’OROSCRAPO III
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