si potrebbe intitolare: paura & serenità.
sintomi di climaterio?
elenchiamo le forme della paura:
andare in macchina a) improvvisa e violenta se guidata da altri b) continua bassa e corrosiva se guido io.
conoscere gente nuova.
parlare con sconosciuti.
una telefonata inattesa.
una comunicazione burocratica imprevista.
una visita inaspettata.
viaggiare in aereo (da tempo). in treno (da poco).
attraversare a piedi la strada.
tuttociò che faccio mi fa in qualche modo paura. non mi ci riconosco. quello che scrivo che disegno che leggo che vado dicendo. il mio modo stesso di dormire. se sto più a lungo sul lato destro ho paura di svegliarmi senza più un capello sulla tempia destra.
tanto più mi abituo alla crescente velocità del mio tempo fisiologico all’approssimarsi della scadenza e di tanto col progredire della serenità globale aumenta l’insieme delle piccole paure. si fa più enigmatico lo ‘spirito di conservazione’. leggere questo tempo questa storia di questo pianeta di ora alimenta e accelera paura & serenità. il bisogno controllabile di partecipare al respiro comune all’attività comune non s’interrompe. tuttavia cresce il desiderio incontrollabile dell’isolamento per un lavoro più continuo non strumentalizzabile non finalizzato. sperimento con maggiore ricorrenza un tale isolamento e vedo che non ha gratificazioni per l’individuo che io stesso sono. é anzi il modo di più rapida eliminazione dell’individuo – anche se il più delle volte quest’eliminazione fallisce proprio perché non mi riconosco nelle cose che vado facendo quando l’isolamento c’é perché riconosco altri e altro: e allora mi pare che sia eliminazione della realtà. ma quando non fallisce riconosco la stabilità la non provvisorietà dei miei sogni e la loro capacità di trasferire la mia intera attenzione sentimentale nei sogni di ogni collettività di ogni figura del mondo nel suo momento di resistenza ottimale – per es.: il momento della ‘forma della città’ contro la forma delle ideologizazioni che si tenta ovunque d’imporle. le lotte ovunque in corso per l’autogestione.
quando l’isolamento regge verifico di quanto nel comune respiro storico s’é superato il livello d’azione della contraddizione. mi toccherebbe allora scendere in piazza per naturale conseguenza pratica. ma cos’è una ‘naturale conseguenza pratica’? mi dico: un ricatto della logica della dialettica un plagio della contraddizione. poiché in effetti ogni mio istante di isolamento produttivo (e improduttivo) viene da me lentamente pagato al nulla delle dominanti istituzioni. e non c’é modo di nascondere un tale sperpero. e non c’é modo oggettivo di renderlo umanamente significativo.
bene. questo vuoto correlativo-oggettivo più non mi paralizza. le mie continue quotidiane micropaure ne assorbono i veleni. cosi mi pare. questo penso. e cosi perciò quelle paure crescono si fanno più intense. e cosi i momenti di fallimento dell’isolamento diminuiscono. in questo modo penoso un certo equilibrio permane. anche se in tutta questa storia alla fine l’equilibrio serve soltanto a ricordarmi di dare l’acqua alle piantine sul balcone.
un giorno qualcosa in me mi spegnerà del tutto. sono assolutamente persuaso che andrà cosi qualunque sia la sua figura accertabile – emorragia proiettile vagante cancro del fumatore stanchezza esplosione ovarica.