MEMORIE DI UN RACCOGLITORE DI SCARPE di Gaetano Altopiano

Se mai ci fu un luogo di cui si nutrì avidamente il mio eros, quello fu l’immondezzaio che fino agli anni ’70 stava sotto il campo sportivo del mio paese. E se veramente “zona erogena” vuol dire “zona che genera amore”, nel senso che ha proprietà di procurare piacere, bè, devo riconoscere che quello fu un luogo erogeno eccellente, di gran lunga superiore a qualunque parte del corpo immaginassi. L’atto dell’abbandono di ogni genere di scarto umano – le cose più segrete in fondo, ciò che si era mangiato, quello che si era letto, quello che qualcuno aveva indossato nell’intimità e persino quanto era figliato dal corpo – moltiplicato per centinaia di famiglie dava risultati impressionanti, proprio per la sua architettura proibita: lì brulicò una montagna che declinava incessantemente nella parola sesso. C’era di che incantarsi. E era così infatti. Fu una zona in cui lo stimolo alla masturbazione raggiunse i picchi alti della mia pre-adolescenza, adesso, credo per la sua natura profondamente scorretta che già presentivo seppure in modo primitivo. Niente mi induceva alla continenza, ancora meno alla castità e al pudore. Ogni cosa piuttosto mi spingeva al libertinaggio. Una morfologia che ora riconosco come anticipatrice del mio futuro erotismo, la geologia degli umori umani e l’iniziazione all’unico piacere che iniziava a contare: il mio. 

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