Oggi ci siamo guardati a occhi storti, fiutati. Ma lei è troppo più grande di me. Spalle enormi, proietta un’ombra da circo. Ed ha ventre esteso, concavo. Come voliera. Forse neanche mi vede, non si è neppure accorta che sono entrato, che le sono penetrato dentro, con tutte le mie cose.
Forse neanche mi vede, non si accorge neanche, tanto è immensa e io così irrilevante.
Non si è neanche resa conto che vivo dentro di lei.
In effetti, però, insomma. Non posso dire che mi stia guardando dall’alto, per quanto mi sovrasti con la sua capigliatura sporca di nuvole. Ha occhi dappertutto ed io devo ancora capire dove sono questi occhi e se sono occhi amici. Non ci parliamo.
Ci cerchiamo, forse. Ci scrutiamo con istintiva diffidenza.
Al mio risveglio, stamattina, lei è ancora lì. Ferma, gonfia di sole.
Forse voleva farmi una carezza rassicurante: ho aperto il rubinetto e non usciva sangue, fanghiglia o spremuta di lucertole. Scorreva acqua normalissima. Ho bevuto.
Forse così vuole rassicurarmi. Ho girato la maniglia di una porta e la porta, docile e rassegnata, si è aperta. Ho aperto una finestra e il mondo, docile e rassegnato, era ancora là, intatto e gonfio di sole. Con questi piccoli innocui gesti, forse la Casa vuole dirmi che non mi vuole fare del male. Mi ha accettato, e forse vuole dirmi: puoi rimanere.