skaki, accidentalmente infermiere, capita, con mezzo bicchiere di glengrant, al capezzale di eugenio montale morente. lo riconosce. si emoziona. la mano trema. alcune gocce di glengrant finiscono sul mento del poeta. il quale, lucidissimo, sillaba:
“padre, troppo onore.”
skaki, con lo stomaco attorcigliato, prima beve, poi rutta. senza aggiungere altro, esce.
da giovane skaki ha conosciuto da vicino, in una libreria di via ruggero settimo, alberto arbasino. nel senso che, ormai, ricorda soltanto un tale di media statura e snello che invece di camminare scivolava lievitando su un pavimento di olio d’oliva.
cosi, ora, ogni volta che skaki legge arbasino, ha sempre fame di pane caldo. a volte, di schiacciata.
skaki viene a sapere che il dr wheeler sostiene da decenni la necessità della fondazione di una fisica senza alcuna fisica.
ride da matto, singhiozza, dice:
“ma è migliaia d’anni che i poeti ci sguazzano in quella fisica.”
poi, però, calmandosi, conclude:
“e non ne possono proprio più.”
a skaki, un mattino di luglio in cui c’è caldo e afa, un suo pargolo offre l’occasione di essere presentato al linguista tullio de mauro che sta li in maniche di camicia e con la giacca sotto il braccio sinistro.
(‘l’idea, mi dirà più tardi, di conoscere quest’ennesimo salumiere è terrorizzante’) rifiuta, spiegando: “no, ti ringrazio. oggi ho la mano che mi suda.”
alberto moravia si alza dalla poltroncina e si avvicina al tavolo del comitato. è in quel momento che skaki nota per la prima volta quanto e come lo scrittore zoppica. decide all’istante di andarsi a comprare i ‘racconti romani’ e leggerli di volata.
non ne fece nulla.
skaki corre a sentire la conferenza che t w adorno tiene alla storia patria sulle ‘costituzioni musicali nel ‘500 a napoli e in sicilia’. la sala è piena di bella gente. l’aria greve di profumi., adorno parla in inglese e, pur essendo anziano, ha un tono di voce robusto. dopo qualche minuto, distrutto dall’oscenità di quell’universo, skaki ne viene fuori con la voglia furibonda di un conogelato al cioccolato con la vaniglia. sulla piazza di san domenico c’è una limpida luce di crepuscolo.
ma nessuno al banco del gelataio.
una volta skaki, negli anni ’50, aveva amato molto un paio di liriche di luciano erba. ora vede quel suo poeta che sta li, al tavolo, che ascolta antonio porta con l’espressione precisa di un caporale zelante. assolutamente disgustato, skaki pensa che quelle poesie che aveva tanto amato meritavano di più, da qualche altra parte.
skaki, per accidente, nel giro di 15 anni e in diverse occasioni, incontra più volte evgenij evtushenko. e ogni volta ha la spiacevole sensazione che il pianeta terra sia una cipolla i cui strati girano a velocità diverse e tutte sbagliate.
skaki non sapendo chi sia quella persona puzzolente che gli sta accanto nella penombra, esita a scostarsi. quando, in qualche oscuro modo, capisce che si tratta di allen ginsberg, deluso di se stesso, si allontana di colpo.