Il sub-prodotto di ogni buona lettura è la paura mista a rassegnazione che a un certo punto si arriverà alla fine. Considero sbrigativo liquidare la questione con un’affermazione del tipo “tutto si può rileggere da capo”. Poiché se è valida in alcuni casi, se non addirittura obbligatoria, non lo è in altri dove la rilettura ci negherà un piacere fondamentale: la “primavoltità” (teoria descritta da Roberto Bazlen, che io condivido in pieno). Personalmente, quando succede, sono così combattuto che – diciamo a un quarto dalla conclusione – passo il tempo a prendere il libro, aprirlo e rimetterlo subito a posto. Ecco perché alcuni libri mi rimangono preclusi per anni: non arrivo alla fine. Uno di questi è I fiori blu, di Raymond Queneau, tradotto da Italo Calvino, che ammetto di non avere mai finito. Un romanzo delizioso. Negli anni l’ho ripreso più volte ma a ogni tentativo, puntualmente, non reggo l’emozione. Le frasi stupefacenti mi si ritorcono contro; la sua follia tenta di avvilupparmi dentro; tutti quei giochi di parole mi rimproverano regolarmente: tu non ci saresti mai arrivato.