RITORNO (Capitolo Decimo)

La collina viene bucata all’alba.
Riverso sul tavolo, l’uomo produce una raggiera sconosciuta, quasi blu, un segnale di scossa, che invade l’area formaggi, sfiora le muffe, per riservarsi una stalattite indebolita dai tanti visitatori.
La fuga nel frigorifero è tra le offerte dell’anno.
Una squadra di saltatori ingaggiata dalle ambasciate tenta di siglare la pace con la saliva; produce un effetto breve, in bianconero.
Riappaiono le note di ninni il rosso, i vopos, il filospinato.
Il locale, colmo di riflessi, isolato con l’adesivo, si va liquefacendo, sotto le pressioni di Qui, Quo e anche Qua, indicibilmente ispirati da un piano d’azione locale, al cui tavolo sono seduti rangers, juniors, dandys, babyskillers d’annata, non consapevoli del dissesto in arrivo, questa volta con un compendio di classica e wughi, per rendere il trauma compatibile.
Ma non hanno previsto il cambio di pelle della collina.
Viene iniziata una ricerca d’archivio, dalla notte dei morti viventi a ET, dai piani paesistici a Monet. Si prende un cococò, storico esperto in dissolvimenti, si deviano treni e carrozze, si nascondono le figlie sante, temendo un rigurgito di laicismo, con il risultato unico di spasmi dell’uomo riverso sul tavolo, braccio allungato, un po’ di saliva.

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