Sia fatto santo il tuo nome
Sia canonizzata la tua carne
Ora che ti è sbollita la collera, ora che
Legata a un palo, con glottide dissestata dai singhiozzi
Ti chiedo l’ultimo bacio da puttana.
La tua lingua è un fiammifero acceso dentro il palato.
Ma non soffro, perché: io sono l’io narrante.
Dalle cosce spalancate espello il diaframma
Perciò io ero l’io narrante.
Intorno a noi le cose parlano, piacevolmente regolari.
Esse sanno patteggiare.
II
Non perdona mai il terribile tramezzo della natura
Essa è una diaframma indurito mai divenuto familiare.
Io perdono te che, da dio, non puoi adorarmi.
III
L’ultimo bacio è glabro, l’istinto incalza le lingue
Ma la morte che sa come spaventarmi
Raccoglie in superficie ogni cicatrice
Ordinata e riposta sotto i piedi.
Che il mio collo resti liscio e presentabile
E che non porti i segni dei minerali che ho inghiottito
Né delle talpe che lo risalirono
Che i polsi continuino a nascondere la lebbra segreta
Che il diaframma appaia morbido e funzionale
Che dai miei seni – gomitoli blu – si dipani un filo
Che sia magnete per le tue gambe
Che le tue gambe siano il palo a cui legarmi e
Solo così saldata e genuflessa, va bene
Essere un ritaglio per la morte.
Dopo potremo anche parlare, ed essere piacevolmente regolari.