SOGNI A DELINQUERE (2)

La strada è interrotta dalla solita frana. I cantonieri comunali solertemente hanno spianato una bretella di cortesia, pietrosa e inclinata del 40% verso il mare. Costeggio dal basso l’interpoderale interrotta, derapando e con il fiato salato sul collo. A pochi metri dal rientro in carreggiata due uomini. Il vecchio, è grasso e basso, l’altro è altissimo e porta gli occhiali a fondo di bottiglia, tipico dei figli. Temendo una imboscata, non nascondo avere pensato di arruotarli e scappare. Mi fermo, abbasso il finestrino. La faccia da luna piena, tipica dei consumatori di cortisone, olivastra e a tratti nera di Silvestre Alcantara, mi alita di scendere. Quella di suo figlio Mom resta fuori dalla mia portata visiva, il suo sguardo carezza il tettuccio del mio fuoristrada. Silvestre mi abbraccia e mi trascina poco più avanti, all’ombra di un cespuglio. Piangendo ripete, OGGI HO AVUTO MODO DI VEDERE LA MIA SCATOLA CRANICA. Un modo per dire che la sua serenità è a rischio. Tuo padre (qui a Ragnasco ci si da tutti del tu), mi vuole togliere l’uva. Mi mostra la minacciosa lettera anonima che, rileggendola, trovo veramente benscritta ma senza darlo a vedere. Mi chiede di intercedere. L’uva della famiglia Alcantara: una pergola di meno di un metro di larghezza per qualcuno in più di lunghezza. Fa da pensillina all’unica finestra e all’unica porta d’ingresso della loro casa. Rassicuro e prendo impegno accartocciandomi a mia volta alle spalle di Silvestre, dando un cazzotto amichevole all’inguine di Mom. Risalgo in auto. Li lascio allontanare di una decina di metri. Do tutto il gas che vuole al mio diesel 4 cilindri aspirato e, questa volta sì, li arruoto.

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