Mi legai d’amicizia con Bolaño nell’estate in cui lavorava come guardiano notturno di un campeggio. Dopo la chiusura del luna park a notte fonda passavo a trovarlo e due birre gelate accompagnavano la conversazione.
Anni dopo mi mandava i suoi libri ai diversi indirizzi che gli comunicavo di volta in volta per telefono e in ognuno di essi rivedevo (e rivedo) la luce del lampione accesa sulla garitta di guardia, l’oscillare del palmizio lì accanto.
Gli ho sempre creduto quando mi raccontava del suo clandestino ritorno in Cile durante gli ultimi giorni di Allende – ancora adesso mi sorprendo a fantasticare del mio luna park caricato su di una nave, sbarcato a Valparaíso e portato in treno fino a Santiago: c’era allegria e speranza nei giorni del presidente Allende, un luna park politico accampato alla periferia della città socialista, Roberto detective selvaggio che scrive romanzi, io cane romantico a zampettare tra le mie giostre simili a enormi polpi addormentati sotto i teloni verdi e grigi di giorno, scintillanti di luci e di musica la notte, i loro benevoli tentacoli illuminati e mobili nel cielo notturno