STORIE DEL SIGNOR JFK (81)

Mai pensato a quegli stupidi esperimenti di Icaro. JFK cammina immaginando sotto di sé l’acqua. La terracqua. Fa questi esercizi di mattina. Approfittando della brina si alleggerisce di passo in passo. Sono un hovercraft, si convince, né Icaro né Gesù Cristo. Definisce questo suo desiderio di levità, felicità indotta. Allunga la gamba e prima che questa si poggi lancia l’altra. Sicché si trova, di sforbiciata in sforbiciata, come Dorando Pietri staccato dalla terra per nanosecondi. Accelera, e i nanosecondi diventano tanti che più non si raccapezza. Il sangue pulsa violento in testa sino all’ammaraggio nella grande vasca da bagno della sua piccoletta casa di montagna. Il sangue ora sbocca dai piedi, colora di rossocielo la masse d’eau. Allora è tutto un arrestare, fasciare, coprire papole, pustole, bubboni, felici ferite indotte. Pegno che JFK consegna volentieri all’insano desiderio di volare.

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