tremodidiviverel’estate: la cabina

C’erano dei posti che d’estate cambiavano senso e forma per diventare
altro, così la cabina. Era celeste chiaro, di legno, le assi scheggiate e una
riga bianca nel mezzo, bianco il tetto. Tempo e aria di mare avevano fatto il
loro corso, e la cabina, negli anni, si era gonfiata di salsedine. Pingue e
ruvida, di sabbia vestita, se all’interno ci camminavi senza scarpe
scricchiolavi e sdrucciolavi per l’intero perimetro. Mario ci aveva portato il
nostro giacimento di soldatini. C’era George Armstrong Custer con i suoi
lunghi baffoni e tutti i capi indiani a raccolta, fanteria e dieci a cavalli. Per
una scommessa di figurine, li avevamo bruciati sul fuoco di una candela.
Dei cavalli era rimasto poco, non si tenevano in piedi. Era lì che avevamo
incontrato la tigre del Bengala e Godzilla, Belfagor, Tony e il professore e i
tre orsi. Non si capiva perché tutti scegliessero un posto così stretto e afoso
per darsi convegno. Un giorno avevano bussato piano, solo tre colpetti. Tu
guarda che era il papa. Indossava la sua lunga palandrana bianca e diceva
cose che non capivo. Con Mario l’abbiamo lasciato lì, dentro la cabina,
siamo sgattaiolati fuori per un trancio di pizza e una ciambella. A fare gli
onori di casa avrebbe pensato il generale Custer.

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