Poi diedero fuoco al Civetta. Bruciò a lungo e la fiamma era visibile da ogni valle come una torcia immensa in mano a un gigante nascosto chissà dove. Bruciarono i boschi, bruciò ogni arbusto. Bruciarono a carne viva i caprioli e gli altri animali che non fecero in tempo a fuggire. Bruciò ogni traccia umana e ogni altra sostanza infiammabile. Ma quando rimase solo lo scheletro della roccia nuda e sembrava che non fosse rimasto più altro da ardere, le fiamme non cessarono e continuarono a lanciare altissime le loro sciabolate rabbiose. L’incendio non si spegneva e a un certo punto fu chiaro a tutti che avevano preso fuoco anche le pietre. Le vette splendevano incandescenti nella notte emanando cangianti riflessi di rubino. La popolazione delle valli guardava da lontano e non voleva credere ai propri occhi. “Sta bruciando la carne del Civetta!” gridavano atterriti.
L’incendio durò ancora per molto tempo. Alcuni raccontano che durò anni. A poco a poco, come la brace che si trasforma in cenere, le rocce cominciarono a sgretolarsi, la montagna ardente cominciò rovinosamente a franare e ad abbassarsi di quota finché non si dissolse del tutto, evaporando in fumo.
Sul terreno non rimase che un forte odore di bruciato e una cicatrice pianeggiante, un’impronta circolare di terra. Un nerume.